Se diciamo “struttura a doppia elica del DNA” sicuramente vi verrà in mente l’accoppiata di nomi che si studia sui libri di scuola: Crick&Watson. Quello che non vi verrà in mente e che forse non avete mai sentito nominare, invece, è il nome di Rosalind Franklin. 

Sapete perché? Perché era una donna, per di più una donna scienziata, in un’epoca in cui il mondo accademico era ancora fortemente maschilista (sì, spesso lo è ancora oggi, lo sappiamo, come del resto lo è ancora purtroppo la società tutta) e principalmente, dunque, occupato da uomini. 

Eppure è proprio lei ad aver avuto le intuizioni fondamentali grazie alle quali poi i suoi colleghi hanno raggiunto i risultati che sono loro valsi il premio Nobel. Seppure le fonti non siano sempre concordi nel descrivere i nodi cruciali della vita di Franklin, è proprio la sua storia che oggi cercheremo di raccontarvi.

Rosalind Franklin nasce nel 1920 in Inghilterra da una ricca famiglia borghese di banchieri, cosa che le permette l’accesso alla migliore istruzione possibile. Dimostra fin da bambina una netta predilezione per le materie scientifiche e una dedizione allo studio tale da farle conquistare, lungo il percorso scolastico, diverse borse di studio. 

Ammessa all’università di Cambridge, ha quindi modo di formarsi in uno dei contesti più prestigiosi del tempo e si laurea in Scienze Naturali nel ‘41, ottenendo anche una borsa per il dottorato; l’arrivo della Seconda Guerra Mondiale la vede impegnata a lavorare alla British coal utilisation research association facendo ricerca sulle proprietà del carbone (elemento fondamentale per le attività belliche), ricerca sulla quale basa poi la sua tesi di dottorato in chimica fisica, che discute a guerra finita. 

A seguire viene invitata a lavorare, sempre nel campo della ricerca, in Francia, dove si specializza nella tecnica di diffrazione dei raggi X e collabora con un gruppo di lavoro stimolante e molto più aperto del mondo universitario inglese. 

Divenuta quindi un’esperta cristallografa, torna in Inghilterra al King’s College nel ruolo di ricercatrice associata, per lavorare a un progetto di ricerca sulla struttura del DNA, allora ancora sconosciuta. 

Purtroppo l’ambiente di lavoro si rivela piuttosto ostile perché pare che il principale collega, Wilkins, si aspettasse che lei vestisse i panni dell’assistente più che della ricercatrice sua pari, e gli attriti divengono tali che i due smettono completamente di parlarsi. 

Collabora invece egregiamente con il dottorando Raymond Gosling, ottenendo nel 1952 la celeberrima “Foto 51”, cinquantunesima appunto di una lunga serie di foto ai raggi X ottenute con esposizioni lunghissime di centinaia di ore, la quale immortala nel modo più nitido mai visto la struttura del DNA, dimostrando a tutti gli effetti che si tratta di una doppia elica. 

 

Wilkins, facendo parte dello stesso gruppo di ricerca, è ben al corrente degli sviluppi ed è ormai antagonista di Franklin. È qui che le fonti si dividono: alcune dicono che sia stato Wilkins a mostrare ai due giovani ricercatori Crick e Watson del Laboratorio Cavendish di Cambridge, dove pure si sta studiando il DNA, gli sviluppi degli studi di Franklin ancora prima della Foto 51; altre, che siano stati i due a carpire informazioni da Wilkins, forti del fatto che nessuno sapesse che anche a Cambridge si stavano conducendo studi analoghi; altre ancora dicono che sia stato Watson, in visita al King’s College, a strappare di mano a Franklin una copia della famosa foto, o comunque a riuscire a vederla, intuendo in quell’immagine così eloquente il tassello che manca alla sua ricerca. Fatto sta che i due giovani la battono sul tempo, pubblicando nell’aprile del ‘53 su Nature un articolo che dichiara la scoperta della struttura a doppia elica accludendo una foto in tutto e per tutto simile alla Foto 51, contestualmente a un altro articolo, sempre sullo stesso numero, di Wilkins, che corrobora tale tesi. E sempre nello stesso numero compare anche un articolo sul medesimo argomento firmato proprio da Franklin e Gosling, ma purtroppo finisce per apparire solo come un articolo di supporto alla “scoperta” degli altri due. Né il duo Crick-Watson né Wilkins citano minimamente nel loro lavoro la cruciale importanza dei dati raccolti da Franklin e dei risultati da lei ottenuti per l’elaborazione del loro modello di DNA.

Qui le fonti si dividono di nuovo: se per alcune Franklin è all’oscuro del furto subìto e non si cruccia del primato ingiustamente conquistato dai colleghi, per altre resta invece profondamente delusa dall’accaduto ed è per questo che si decide una volta per tutte ad abbandonare il King’s, dove non si è mai davvero sentita a proprio agio, per il Birbeck College, sempre a Londra, dove si mette a studiare, ancora una volta con risultati eccellenti, uno dei virus della poliomielite e il virus del mosaico del tabacco. Sono anni che finalmente le riservano diverse soddisfazioni: è al culmine della carriera accademica, tiene conferenze in giro per il mondo, pubblica numerosi paper. Ma non dura a lungo: nel 1956, a seguito di un malore, viene ricoverata e le viene diagnosticato un cancro in stadio avanzato a entrambe le ovaie, forse dovuto alle lunghe esposizioni ai raggi X avvenute durante il suo lavoro sulla diffrazione, durante il quale non si è protetta a dovere dalle radiazioni; la operano e lei riprende quanto prima il suo lavoro, finché la malattia non la uccide nell’aprile del 1958. Non fa quindi in tempo a vedere i colleghi Crick, Watson e Wilkins vincere il Nobel in Medicina per la scoperta della struttura del DNA. Anche questa volta nessuno dei tre fa il minimo cenno ai suoi contributi (o a quelli di Gosling) per il raggiungimento di un simile risultato. 

 

Per di più nel 1968 Watson pubblica un’autobiografia in cui la deride attaccandola, nel più classico dei modi patriarcali e maschilisti, sull’aspetto e sull’atteggiamento: la definisce bisbetica, brutta, accusandola di aver trattato male gli uomini quand’era in vita e di essere stata gelosa del proprio lavoro. Si prodiga talmente tanto nelle critiche gratuite e fuori contesto da suscitare lo sdegno della comunità scientifica per un comportamento così poco professionale e inappropriato.

Paradossalmente però è proprio questo a innescare la scintilla che porta a una rivendicazione dell’importanza della figura di Franklin, negli stessi anni, da parte del movimento femminista. Dopo un periodo di risalto negli anni della contestazione, purtroppo la sua storia torna nell’ombra, tanto che oggi è di nuovo misconosciuta. Noi speriamo di avervi fatto appassionare a questa scienziata abbastanza almeno da ricordarvene il nome quando sentirete dire “DNA”!

 

Claude

 

Foto: Wikipedia

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